Agricoltura e migranti in Italia è un binomio che rimanda troppo spesso alla realtà dello sfruttamento, dei braccianti, del lavoro nero. Ma nella comunità di prima accoglienza per minori stranieri non accompagnati di San Mauro Torinese abbiamo scoperto che un orto può essere innanzitutto una nuova forma di protagonismo, nel momento in cui si decide insieme, si suda e si raccoglie ciò che serve per sé e per la comunità.
Un orto può essere luogo di cura quotidiana e quanta cura ci vuole perchè i semi germoglino e diano frutti! Può essere uno strumento per superare ricordi traumatici, riappropriandosi del piacere di lavorare senza dover rinunciare al proprio futuro. Può essere una forma di resistenza, quando anche un sacchetto di patate racconta qualcosa e testimonia ancora una volta che i migranti non vengono per rubarci le risorse ma anzi, sono pronti a condividerle con chi viene a cena.
Se potessimo dare la parola ai… pomodori, alle patate o ai broccoli, racconterebbero di quante mani si sono alternate nel lavoro sullo stesso campo. E le zucchine, d’accordo con i cavoli, scherzerebbero classificando i contadini più esperti, lasciando ai peperoncini e alla rucola i freddi ricordi di un inverno in cui tutto sembrava finito.
Ma il nostro orto è stato palestra di scambio e inclusione tra più di 12 nazionalità diverse, africane, asiatiche ed europee.
Ora un vecchio telo copre ancora un lembo di terra: è messo a protezione dei bulbi di cipolle che hanno sfidato l’inverno e che ora, facendosi beffe di chi non crede nell’accoglienza, stanno crescendo per dare nuovi frutti. Parola di cipolla.
I ragazzi e gli operatori del centro di accoglienza per minori non accompagnati di San Mauro